Delfini, a Rimini il primo processo per maltrattamento animale Delfini, a Rimini il primo processo per maltrattamento animale
Sul banco degli imputati la società Delfinario di Rimini Srl e la veterinaria della struttura, accusati per le condizioni di vita di Alfa e... Delfini, a Rimini il primo processo per maltrattamento animale

Nessuno in Italia è mai salito sul banco degli imputati con l’accusa di maltrattamento di un tursiope. Il processo che comincia domani e che vede incriminati la società Delfinario di Rimini Srl e la veterinaria dell’omonimo delfinario è, giuridicamente, una prima assoluta.

Il suo esito esito potrebbe aprire scenari completamente nuovi, e fortemente restrittivi, per la stessa esistenza dei parchi marini nel nostro paese.

La vicenda ha inizio nel luglio del 2013 quando, su richiesta delle associazioni Lega Antivivisezione (LAV), Marevivo e Enpa, il Corpo Forestale dello Stato servizio CITES effettua un sopralluogo nel delfinario di Rimini per controllare le condizioni in cui vivono i mammiferi marini. I riscontri appaiono subito gravi e rispecchiano in pieno le indicazioni fornite dalle associazioni. Secondo quest’ultime infatti, gli animali erano tenuti in condizioni inaccettabili dal punto di vista sanitario e igienico e la struttura era priva della licenza di “giardino zoologico”, essenziale ai fini di legge e obbligatoria dal 2001.

Arriva così il sequestro preventivo a cui segue, ad agosto 2013, il trasporto dei delfini all’acquario di Genova.

Per mamma Alfa (catturata nel golfo del Messico più di vent’anni fa) e i figli Lapo, Sole e Luna (nati in cattività) la vita nella vasca di Rimini costruita negli anni ‘60 e giudicata obsoleta era un vero e proprio calvario, come si legge del decreto di citazione a giudizio:

“Sottoponevano i 4 delfini della specie Tursiops truncatus a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche e quindi incompatibili per la loro natura, anche sottoponendoli a trattamenti idonei a procurare un danno alla salute degli stessi con conseguenti gravi sofferenze”

Dal piano tecnico-sanitario, la battaglia in difesa dei cetacei si sposta ben presto su quello politico. Passa un anno e nel dicembre 2014, dopo aver rigettato la richiesta di ottenimento della licenza di “giardino zoologico” per il delfinario di Rimini, un decreto del Ministero dell’ambiente sancisce la definitiva chiusura del delfinario, diventando così il primo caso europeo di chiusura per volere ministeriale.

Sembra la pietra tombale per il parco, ma non è così. Forte dei legami con l’amministrazione locale, la società gestore fa richiesta al comune di Rimini per diventare “spettacolo viaggiante” appellandosi ad una legge del 1968, una concessione che permetterebbe alla struttura di rimanere aperta utilizzando altri animali che non regolamentati dal decreto 469/2001, e in barba alla natura palesemente sedentaria della struttura.

Nonostante le numerose diffide inviate dalla LAV al comune di Rimini, il sindaco Andrea Gnassi (Pd) dà il proprio benestare e a Rimini cominciano così gli spettacoli acquatici di cui le star sono ora tre otarie.

L’ultima puntata della telenovela tra Comune e Ministero va in onda a luglio 2014: il ministro Gian Luca Galletti, a seguito di un’interpellanza presentata dal deputato del Gruppo Misto Alessio Tacconi, invia una lettera di diffida alla società Leo 3000, proprietaria del parco acquatico di Fasano da cui provengono le tre otarie, affinché venga disposto l’immediato rientro dei leoni marini.

Non è stato possibile mettersi in contatto con l’avvocato difensore della Delfinario di Rimini Srl.

Tortura o edutainment?

In Italia sono due le misure che regolano la gestione dei delfinari.

La prima, il Decreto n. 469/2001, impone vincoli per la detenzione e l’utilizzo della specie di delfini ad oggi presente nei delfinari italiani, i Tursiops Truncatus. Gli stessi vincoli che gli imputati del processo di Rimini sono accusati di non aver rispettato.

La seconda, il Decreto 73/2005 recepisce una direttiva europea e impone precisi doveri per la gestione di giardini zoologici in genere, categoria sotto la quale rientrano i delfinari.

L’industria dell’intrattenimento acquatico è solita spiegare l’utilizzo in cattività di mammiferi marini come uno strumento per educare e sensibilizzare il pubblico, e le giovani generazioni in particolare, sull’importanza che ricoprono questi animali per il nostro ecosistema. In più occasioni vengono inoltre fatti passare come efficace strumento di “pet therapy”.

La LAV, che dal 2013 si batte per la chiusura di tutti i delfinari italiani, ha le idee chiare in merito: “Non vi è alcuna evidenza scientifica relativa all’efficacia di simili progetti. I programmi di pet therapy sono del tutto vietati dalla norma e i delfini, nonostante in cattività, sono e restano animali selvatici e molto pericolosi, non sono di certo pet”, afferma il vicepresidente della LAV, Roberto Bennati.

Secondo il rapporto EURISPES 2015, il 65% degli italiani è contrario all’esistenza dei delfinari, mentre la raccolta firme lanciata dalla LAV per la loro messa al bando ha finora raggiunto quota 85 mila. Dietro una così massiccia presa di posizione dell’opinione pubblica vi sono numerose violazioni riscontrate dalle associazioni ambientaliste: vasche troppo piccole o non a uso esclusivo dei delfini e adiacenti a zone rumorose, spettacoli quotidiani e spesso in programma più di una volta al giorno, il contatto – vietato per legge – con il pubblico, zone d’ombra ridotte al minimo o addirittura assenti, mancanza di vasche adibite al trattamento medico veterinario, ecc.

In Italia sono presenti 27 delfini suddivisi nei tre delfinari attivi diGenova, Torvaianica e Riccione. “Un delfino in vasca è soggetto a numerosi stress”, afferma Albert Lopez, psicologo ed ex addestratore. E aggiunge: “Essere a contatto con delfini che non appartengono al proprio gruppo, cibarsi di pesce morto, vivere in vasche rumorose con acqua piena di additivi, l’addestramento e gli spettacoli che obbligano i delfini a comportamenti innaturali…tutto questo porta il delfino a subire un forte stress”.

Tutto ciò senza tenere conto del processo di approvvigionamento. Come arrivano delfini nuovi in un delfinario? Chi ne regola e controlla la cattura?

“L’industria dei delfinari nel mondo è dipendente dalle catture in mare di delfini dato il basso tasso di riproduzione in cattività e l’elevata mortalità nelle piscine dove gli animali vengono detenuti”, afferma Gaia Angelini, responsabile animali esotici per la LAV. Nelle acque europee è proibito per legge catturare i delfini dunque i ‘rifornimenti’ devono necessariamente arrivare dai mari di altri continenti. ” E per ogni singolo delfino catturato, altri del suo gruppo sociale muoiono”, aggiunge Angelini.  

A livello europeo non esiste un istituto di vigilanza, tantomeno dati ufficiali su quanti sono i cetacei in cattività in Europa. E allora per chi è a caccia di numeri non resta che rivolgersi alla società civile, come il sito web Ceta-Base.

Il dibattito a livello mondiale sulle condizioni in cattività dei cetacei e sull’efficacia degli spettacoli acquatici per scopi educativi va avanti da molti anni. In Italia siamo invece ancora agli albori.

La biologa marina Naomi Rose è tra le più accanite attiviste nella battaglia contro i parchi marini. In un’intervista rilasciata alla LAV nel 2014 ha affermato che delfini e orche “sono gli animali meno adatti ad essere tenuti in cattività. Un’orca dovrebbe compiere circa 2000 giri intorno alla propria vasca-prigione per coprire la distanza media che percorre in un solo giorno in mare aperto, mentre un delfino in natura percorre almeno 25 Km al giorno”.

 

Gruppo Costa, leader indiscusso

Chi osserverà da lontano ma con occhio interessato il processo di Rimini è la famiglia Costa. Dopo aver abbandonato definitivamente il settore crocieristico nel 1997 con la vendita di Costa Crociere Spa alla statunitense Carnival Corporation Plc, il Gruppo si è dedicato alla gestione dell’acquario di Genova, e non solo.

L’opportunità da non perdere, per il Gruppo Costa, si palesa nel 1992 con le Colombiadi, l’evento internazionale che ha celebrato il 500° anniversario della scoperta delle Americhe. Da allora la famiglia Costa controlla il 50,47% dell’acquario, mentre il resto rimane in mano alla società pubblica Porto Antico di Genova Spa.

Comincia così la cavalcata dei Costa nel mondo dell’intrattenimento acquatico, che si consolida ulteriormente con l’acquisto del delfinario di Malta nel 2012 (giudicato dalla rivista ambientalista inglese Peta Uk “tra i sette luoghi più crudeli d’Europa per quanto riguarda il trattamento di animali”) e quelloOltremare di Riccione nel 2013.

Dal 2006 al 2012 la Costa Edutainment Spa ha chiuso i bilanci con un fatturato pressoché costante intorno ai 20 milioni di euro. I bilanci chiudono tutti in utile, ad eccezione degli anni 2012 e 2013 dove la società ha registrato perdite per un totale di circa 2 milioni di euro. Il Gruppo conta di tornare in positivo sfruttando al massimo la recente apertura del nuovo Padiglione Cetacei di Genova. Anche qui, naturalmente, la principale attrazione sono i delfini, per la precisione quelli ‘liberati’ dalla chiusura dell’acquario di Gardaland, a cui si aggiungeranno probabilmente gli otto provenienti dal delfinario di Malta.

E’ curioso notare come i delfini vengano trattati, nei bilanci di Costa Edutainment, alla stregua di beni immobili, dunque non soggetti a svalutazione con il passare degli anni. Per gli otto delfini “maltesi” i Costa hanno sborsato 3.250.000 euro, l’equivalente di circa 406.000 euro ciascuno.

Diverso trattamento invece hanno subito i delfini ottenuti a seguito dell’acquisizione del delfinario Oltremare di Riccione: tra le righe del bilancio si nota come i mammiferi siano stati svalutati prima dell’acquisto, passando da 1,91 milioni di euro a 273.900 euro, per poi venire riportati a bilancio al loro valore effettivo.

Questo articolo è stato pubblicato su Wired.