Sono passate piuttosto in sordina le recenti novità in materia didistribuzione dei diritti tv nella Liga spagnola. Il tema è di attualità in tutta Europa, o per lo meno nei cinque principali campionati europei, dove una più equa distribuzione significa tornei più avvincenti.
Rivoluzione in Spagna. Il decreto legge emanato lo scorso primo maggio dal governo iberico ha come obiettivo quello di limare il gap tra le prime della classe e il resto delle squadre. Si è trattata diuna vittoria dei club medio-piccoli che, a seguito dei tentennamenti del governo, erano arrivate al punto di minacciare, e seriamente, lo stop del campionato a fine aprile. Gli spagnoli passeranno dunque da un sistema soggettivo ad uno collettivo: a partire dalla stagione 2016/2017 la quota sarà suddivisa secondo criteri che terranno conto dei risultati sportivi nelle ultime cinque stagioni, del numero di biglietti e abbonamenti nelle ultime cinque stagioni, e del bacino di utenza. Una differenza macroscopica rispetto al sistema attuale in cui è il singolo club a dover intavolare una trattativa con la lega calcio, che elimina definitvamente una disuguaglianza nel rapporto dell’assegnazione delle quote pari a 11:1 (la prima in classifica prende in media undici volte quanto l’ultima).
Serie A, l’eredità del ministro Melandri. Si spiega forse fin troppo facilmente il motivo per cui un simile cambio di rotta in Spagna abbia avuto scarsa eco in Italia. Dopo la Liga, è infatti la Serie A il campionato meno ‘equo’ per quanto riuarda la ripartizione dei diritti tv. Il rapporto prima-ultima è di 5:1. La Juventus, per esempio, ha intascato quest’anno 96 milioni di euro contro i 19,7 milioni dell’Empoli. Un gap simile è la diretta conseguenza della cosiddetta ‘Legge Melandri‘, entrata in vigore dalla stagione 2010/2011. Il decreto dispone sei criteri attraverso i quali suddividere la quota dei diritti tv ai club: quattro di questi sonooggettivi (come i risultati sportivi e la parte equamente distribuita), mentre i due criteri “numero di tifosi” e “popolazione del Comune” sono invece calcolati secondo misteriose fonti che la stessa Lega Calcio non ha mai chiarito.
Gli ultimi due criteri contano per ben il 30% sul totale ricevuto da un singolo club. È logico dedurre quindi che con simili parametri le grandi squadre che giocano nelle metropoli italiane ne trarranno sempre maggiore beneficio rispetto a quelle medio-piccole. Il nostro campionato è inoltre l’unico, tra i cinque analizzati, che tiene conto dei “risultati sportivi storici”, ovvero quelli conseguiti dalla stagione 1946/1947 (10% del totale dei diritti tv).
La novità in Ligue 1. Decisamente più proporzionato nella distribuzione dei diritti TV è il campionato francese. Nella League 1, quello meno ricco con i suoi 468 milioni di euro per la stagione 2014/2015, il rapporto prima-ultima è di 3,5:1. A dettare legge è naturalmente il Paris Saint Germain con il 10% del totale, seguito a ruota dall’Olympique Lione e l’Olympique Marsiglia. Seppure ancora disequilibrata, la Ligue 1 ha introdotto da qualche anno un criterio del tutto innovativo, quello della “licenza” (in viola, nell’infografica).
Consiste in una lunga lista di parametri che spaziano dalle condizioni dello stadio e del campo di gioco fino alle infrastrutture del club e alle sue competenze salariali. A ciascuna voce è attribuito un punteggio, se tutte vengono soddisfatte si arriva ad un totale di 6.000 punti, le squadre che lo raggiungono hanno quindi diritto alla quota della “licenza” che è uguale per tutti i club, e vale il 20% del totale.
Bundesliga, contano i risultati. Unico nel suo genere è il campionato tedesco. Anzitutto il sistema vigente nella Bundesligaè interamente incentrato sul criterio dei “risultati sportivi” (gradazioni di rosso, nell’infografica) e non tiene quindi in considerazione il “bacino di utenza” (gradazioni di verde) e il “numero di partite” del club trasmesse in diretta TV (in giallo). Inoltre, ognuno di questi criteri assegna un singolo punteggio a ciascun club. Viene poi fatta la somma totale dei punteggi e stilata una nuova classifica, secondo la quale i diritti TV vengono poi distribuiti. Il risultato è un rapporto prima-ultima di 2:1, dove una corazzata come il Bayern Monaco incassa 38 milioni di euro contro i 19 milioni della matricola Paderborn.
Premier League: ricca e democratica. Il campionato inglese non è solo il più ricco al mondo – l ‘accordo siglato lo scorso febbraio tra la Premier League e Sky UK per il triennio 2016-2019 vale 7 miliardi di euro – ma anche il più equilibrato in fatto di diritti TV. Il rapporto prima-ultima è infatti di 1,5:1 dove il Chelsea guida con135 milioni di euro contro gli 87 milioni del QPR. Il sistema di ripartizione è molto semplice: la metà del totale è distribuito inparti uguali a tutti i club, il 25% è assegnato secondo i risultati sportivi ottenuti nella stagione precedente e il rimanente 25% in base al numero di volte che una partita della squadra è trasmessa in diretta TV.
Con l’imminente entrata in vigore della nuova normativa per la Liga spagnola, la Serie A diventerà il campionato più squilibratotra quelli europei per quanto riguarda la distribuzione dei diritti TV. Una riforma sarebbe necessaria non solo per limare il gap tra prime e ultime ma soprattutto per dare una sterzata ad uno sporteconomicamente in picchiata e che fa troppo affidamento agli introiti per diritti TV. Secondo un recente studio della Gazzetta dello Sport infatti, il 58% dei fatturati delle squadre di Serie A arriva dagli introiti televisivi: una voce necessaria e imprescindibile quindi, per un campionato che nel 2014 ha raggiunto 1,7 miliardi di euro di debiti.
Questo articolo è stato pubblicato su Wired.
No comments so far.
Be first to leave comment below.