Banconote false, la contraffazione digitale nel Deep web Banconote false, la contraffazione digitale nel Deep web
Niente più pusher all'angolo di strada del quartiere di periferia. Oggi l'alternativa sicura per acquistare banconote false si trova sul Deep web, quella porzione... Banconote false, la contraffazione digitale nel Deep web

Niente più pusher all’angolo di strada del quartiere di periferia. Oggi l’alternativa sicura per acquistare banconote false si trova sul Deep web, quella porzione di internet dove l’anonimato è pressoché garantito e in cui le transazioni illecite hanno trovato stabile dimora.

Operazione “Fake money”

La Guardia di finanza di Roma e quella di Napoli hanno sgominato una banda che deve rispondere del reato di commercio di banconote false. Scelta dei tagli, quantità, modalità di pagamento e consegna venivano fatte in maniera del tutto anonima. Un pacco, però, destinato a un cliente spagnolo è stato consegnato alla persona sbagliata. Una volta finito nelle mani della Guardia civil è cominciata l’operazione “Fake money” delle Fiamme gialle.

I falsari campani sono tanto all’avanguardia da essersi meritati un marchio di fabbrica

La presunta organizzazione criminale era di base a Castellammare di Stabia. È qui, nella provincia di Napoli, che viene prodotto l’80% delle banconote false in circolazione in Europa. I falsari campani sono tanto all’avanguardia da essersi meritati un marchio di fabbrica. Esperti del settore e inquirenti lo chiamano «Napoli group» per identificare un expertise nella produzione di denaro falso che non ha pari al mondo. Nel 2015 (ultimo dato disponibile) le banconote rimosse dalla circolazione in Italia ammontavano a un quinto di quelle ritirate in tutta l’eurozona.

Affari in Lombardia e nel Lazio

Se la Campania crea, è altrove che la moneta taroccata si confonde maggiormente con quella vera. Il capitano del nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza di Roma, Roberto Pollari, spiega che «i soldi falsi girano soprattutto nelle regioni più ricche e in quelle con un alto flusso di turisti, come Lombardia e Lazio». Nel 2015 sono stai sequestrati e ritirati 168 mila esemplari di banconote false, per un ammontare ipotetico di 7,2 milioni di euro.

Meglio i tagli intermedi

Tra le province, l’allerta è massima in quelle di Roma (11% del falso nazionale), Milano (7%), Napoli (5%) e Torino (4%). Quanto ai tagli, «i falsari prediligono quelli intermedi poiché sono più diffusi e meno passibili di controlli da parte dell’utente finale», precisa Pollari. La più diffusa delle banconote sequestrate in Italia è quella da 20 euro (46%), seguita da quella da 50 (31%).

Ma chi è responsabile della realizzazione di un prodotto tanto sofisticato quanto comune? Il capitano della Guardia di finanza racconta: «Il falsario generalmente ha un passato nella tipografia, meglio ancora se tipografo di professione». Gli inquirenti li considerano dei “lupi solitari”, chiusi nel loro laboratorio e circondati da non più di 3-4 tecnici per il lavoro sporco. Sono pochi, ancor meno quelli bravi.

Pene dai 3 ai 12 anni

Vivono in un mondo in cui regna l’omertà, indispensabile per conservare i propri segreti professionali e tenere la stamperia alla distanza da occhi indiscreti. «Tuttavia sono in estrema competizione tra loro, e il timore di essere scoperti li obbliga a vivere in uno stato di perenne paranoia, superiore addirittura a chi produce o traffica stupefacenti», dice Pollari. Un’ansia che li porta a «vivere come se fossero sempre sotto indagine». E non a torto. Il codice penale prevede la reclusione dai tre ai 12 anni per la produzione e il commercio di banconote false.

Stretta da parte dell’UE

Di recente – oltre all’introduzione di nuovi e più sicuri tagli per le banconote da 5, 10, 20 euro e il lancio previsto ad aprile 2017 per quella da 50 – la Commissione europea ha stretto la morsa contro i falsari. La Direttiva Ue 62/2014 è stata recepita dall’Italia a giugno 2016. Sancisce il principio di universalità della giurisdizione, impone agli Stati membri doveri di cooperazione e scambio di informazioni e apre ai corpi di polizia l’utilizzo di strumenti di contrasto tipici della lotta alla criminalità organizzata (intercettazioni, operazioni sotto copertura, rogatorie). Insomma, per i falsari si fa dura. A tal punto che al metodo di produzione “industriale” si è ormai affiancato quello “digitale”.

Il Deep web è il luogo ideale per gli acquisti. La materia prima ha costi ridicoli e viene comprata in grandi quantità

Lamine, rulli, timbri, serigrafie, ologrammi, rilievi. E ovviamente fiumi di inchiostro. Per chi dispone di un laboratorio “industriale”, il prodotto finale rasenta la perfezione se confrontato con quello originale. «È certamente il metodo migliore», ammette Pollari. Tuttavia il costo dell’attrezzatura, stampanti industriali e rulli in particolare, rende il sistema accessibile a pochi. Chi? «A oggi nessuno ha mai riscontrato un’evidenza del coinvolgimento della criminalità organizzata, ma è verosimile immaginare quanto meno il loro appoggio», precisa il capitano. Che nella realtà si traduce nel finanziare l’acquisto dei macchinari.

Una sola stampante digitale

Si fa sempre più diffuso, invece, il sistema “digitale”. Il laboratorio in grado di accomodare grosse stampanti diventa una banale stanza di 10 metri quadrati, il consumo elettrico si abbassa drasticamente, i rumorosi e voluminosi macchinari si trasformano in una sola stampante digitale ad alta definizione.

1.000 euro falsi costano 450 euro (veri)

«La difficoltà maggiore consiste nel reperire i materiali come la carta giusta, i patch olografici, i file immagine ad alta definizione», spiega Pollari. «Quest’ultima è fondamentale, in quanto gli scanner e le stampanti di oggi non consentono di stampare o copiare banconote». E allora ecco che il Deep web diventa il luogo ideale per gli acquisti. La materia prima ha costi ridicoli e viene comprata solitamente in grandi quantità. Anche per l’utente a caccia di denaro falso i prezzi sono convenienti. L’equivalente di 1.000 euro viene acquistato con una spesa di circa 450 euro.

Questo articolo è stato pubblicato su Lettera43 il 14 gennaio 2017.

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