Se la differenza fra uomo e donna è una vacanza a quattro stelle
DataJournalism 25/01/2017 Lorenzo Bodrero 0
È un mondo ancora per maschi, quello lavorativo in Italia. L’ultima indagine dell’Istat sui differenziali retributivi, riferita ai dati del 2014, racconta di un Paese in cui gli uomini percepiscono 1,8 euro all’ora in più rispetto alle donne nel settore privato. A conti fatti, le donne dovrebbero lavorare un mese in più per avere uno stipendio annuale pari a quello maschile. Se prendiamo in considerazione un salario medio, la differenza è di circa 3 mila euro all’anno : questo significa che un uomo riesce a pagare sei mensilità di un asilo privato in più rispetto a una donna, o a regalarsi in agosto un viaggio di due settimane per una persona sull’isola di Mahe, alle Seychelles, soggiornando in un albergo a quattro stelle (fonte Expedia).
«Il problema è noto ed è una questione di numeri», commentano dall’Ufficio Parità e Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, «dovuta principalmente ad una sorta di segregazione delle donne nei settori in cui la percentuale variabile della retribuzione è inferiore, come ad esempio il settore pubblico». Secondo l’Istat, infatti, 62 dipendenti pubblici su 100 sono donne, contro i 38 nel privato.
Lo studio, tra i più approfonditi a livello europeo, ha lo scopo di valutare il gender pay gap in Italia (GPG), definito dal centro nazionale di statistica come «la differenza percentuale tra la retribuzione oraria di maschi e femmine rapportata a quella dei maschi». Il GPG totale, che non si calcola con una semplice media tra i settori pubblico e privato, è del 6,1% a favore dei maschi: tra i più bassi in Europa, tuttavia in rialzo rispetto al 5,3% registrato nel 2010.
I dati vanno però interpretati al netto del numero di dipendenti per genere. Con un’equa distribuzione di donne e uomini (50 per cento) avremmo risultati certamente diversi. «La nostra priorità è portare sempre più donne nel mondo del lavoro, soprattutto nei settori in cui sono ancora pochissime; allora sì che si potrà valutare il differenziale retributivo con maggiore efficacia», afferma Monica Parrella, direttrice dell’Ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità della Presidenza del Consiglio.
Entrando più nel dettaglio, si nota immediatamente come i primi settori per gender pay gap sono prettamente scientifici, ad eccezione del primo. Un tale divario è certamente strutturale nel nostro paese, dove le donne nelle università scientifiche sono in minoranza. «I settori tecnologici e maggiormente remunerativi sono quelli con il minore numero di donne, per questo motivo puntiamo ad avvicinare il mondo femminile alle materie scientifiche», spiega Parrella. Una delle iniziative in campo è In estate si imparano le Stem, un bando da un milione di euro diretto alle scuole elementari e medie per promuovere l’avvicinamento alle materie scientifiche nel periodo estivo soprattutto tra le studentesse. Il record in fatto di disuguaglianza spetta invece al settore attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento dove gli uomini guadagnano più della metà delle colleghe. La differenza è dovuta ad una maggiore retribuzione per gli sportivi professionisti maschi. Si pensi, per esempio, al calcio.
I settori in cui il salario orario è invece a favore delle donne sono solo tre: il settore costruzioni, in cui gli uomini percepiscono il 12 per cento in meno delle donne; quello delle estrazioni di minerali da cave e miniere (4 per cento) e trasporto e magazzinaggio (1 per cento). Quest’ultimo è anche quello più vicino ad una parità di stipendio assoluta fra i due generi. Considerando che gli uomini (operai) sono in numero maggiore ma retribuiti meno rispetto alle donne (impiegate), si comprende bene il motivo per cui l’ago della bilancia penda verso il genere femminile.
La forbice tra sessi si allarga nuovamente tenendo conto dell’età dei dipendenti. Se infatti la differenza tra i giovani sotto i trent’anni è contenuta, questa si allarga con il crescere dell’età. Un lavoratore sopra i cinquant’anni guadagna in media il 18 per cento in più rispetto ad una lavoratrice, con un picco del 46 per cento registrato nel settore attività professionali, scientifiche e tecniche.
Osservando i gruppi professionali, sono i dirigenti a farla da padroni. In media guadagnano quasi quattro volte più degli impiegati di ufficio. Anche in questa categoria sono gli uomini a condurre. Il compenso di un dirigente è circa una volta e mezzo superiore a quello di una collega. Sarebbe a dire che una dirigente donna dovrebbe lavorare tutti i sabati e le domeniche dell’anno per pareggiare il salario di un dirigente uomo.
L’avanzamento di ruolo tuttavia si scontra con le effettive possibilità di fare carriera, fattore in cui permane ancora una forte disuguaglianza tra uomini e donne. «Il passaggio dalla qualifica di quadro o di junior manager a quella di dirigente o senior manager avviene di solito proprio in coincidenza con le scelte di maternità delle donne. Molte si sentono costrette a scegliere tra il realizzarsi nell’ambito familiare e la prosecuzione nella carriera, percependo il rischio di discriminazioni implicite o esplicite legate alla maternità», riflette Parrella. «Nessun ostacolo si frappone invece alle carriere maschili in caso di paternità», conclude. Una realtà che si traduce in un numero minore di donne dirigenti (meno di un terzo del totale) e quindi, a parità di ruoli, in un forte sbilanciamento salariale verso i maschi.
Studiare paga, ma a guadagnarci maggiormente sono gli uomini. Vero è che per entrambe le categorie la retribuzione oraria aumenta al crescere del livello di istruzione. Conseguire una laurea, o un titolo di studio superiore, tuttavia conviene più ai maschi. Le donne con un livello di istruzione terziario guadagnano infatti 16,1 euro all’ora contro i 23,2 euro degli uomini. «È un problema tutto italiano», commenta Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell’Istat. E conclude: «È difficilmente attaccabile nel medio periodo, ci vorrà tempo».
A livello territoriale, con 15,7 euro l’ora la Lombardia ha la retribuzione oraria più elevata. È invece la Liguria, con un divario fra generi pari al 18,6 per cento, quella con il gender pay gap maggiore. Il lavoro femminile è meno riconosciuto in Puglia. Qui le donne percepiscono in media 11,1 euro all’ora. «Il problema esiste e non è una novità», conclude Monducci, «ma va letto alla luce di una disparità nel numero di donne e uomini nel settore privato e pubblico e di un blocco degli stipendi nella pubblica amministrazione in vigore ormai dal 2010».
I dati forniti dall’Istat sono su base oraria lorda. I grafici presenti in questo articolo forniscono invece il salario annuo lordo, calcolato moltiplicando la base oraria per otto ore lavorative al giorno (ipotizzando dunque un impiego full time) per 220 giorni lavorativi all’anno.
Questo articolo è stato pubblicato sul corriere.it il 24 gennaio 2017.
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