«Ci sono due cose assolutamente da non costruire su un terreno di valore: un cimitero e uno stadio». Parola di Allen Sanderson, professore di economia dello sport all’Università di Chicago. Certo il contesto di riferimento è quello americano, ben diverso dal nostro. Oltreoceano, negli anni Novanta e Duemila, sono stati costruiti cento stadi nuovi per i quali l’amministrazione pubblica ha sborsato dodici miliardi di dollari di investimenti. È come se il Campidoglio e il governo contribuissero alla costruzione del nuovo stadio della Roma per 120 milioni di euro. Apriti cielo.
Per gli esperti americani è ormai assodato che uno stadio rappresenti un pessimo investimento economico. L’assunto si basa sostanzialmente su due questioni. La prima sfata il mito della creazione di posti di lavoro all’interno e all’esterno della nuova struttura, insistendo sul fatto che l’impatto maggiore si ha durante la costruzione dell’impianto. La seconda, ben più rilevante, riguarda il finanziamento. L’investimento pubblico il più delle volte rimane scoperto e gli introiti derivanti dalle attività che ruotano intorno allo stadio non permettono al club sportivo di saldare i debiti per la costruzione.
La sostenibilità economica
E allora quand’è che uno stadio nuovo conviene? La missione è difficile ma non impossibile, a condizione che vengano soddisfatti determinati requisiti. Ne esponiamo tre, considerati di primaria importanza. A partire dalla sostenibilità economica dell’investimento.
Dopo gli sprechi di Italia ’90, quando lo Stato sborsò 1.300 miliardi di lire per costruire cattedrali nel deserto (il Delle Alpi a Torino, il San Nicola a Bari) e “modernizzare” stadi divenuti obsoleti pochi anni più tardi (San Siro a Milano, San Paolo a Napoli, Sant’Elia a Cagliari), da noi l’utilizzo di fondi pubblici – perlopiù erogati dall’Istituto per il Credito Sportivo (Ics), la banca per la costruzione di impianti sportivi controllata dal ministero delle Finanze – è ai minimi termini. Tramite l’Ics, la Juventus ha usufruito ad esempio di un mutuo decennale su due contratti di finanziamento (50 e 10 milioni di euro) per spalmare i costi di costruzione dello Stadium. La società conta di saldare il debito con la vendita dei naming rights dello stadio e della gestione di una parte delle tribune vip alla società Sportfive Italia.
Singolare, invece, la modalità di finanziamento di un altro stadio italiano di proprietà privata. Buona parte dei soldi usati per costruire l’allora Giglio (l’odierno Mapei Stadium) furono ricavati dalla vendita di abbonamenti pluriennali a 1.026 tifosi della Reggiana, futura proprietaria della struttura. Ancora oggi lo stadio in cui gioca il Sassuolo, inaugurato nel 1995, è considerato un impianto all’avanguardia.
Come ricorda Diego Tari in All’ultimo stadio (Edizioni Informant), per finanziare la costruzione dell’Emirates Stadium, l’Arsenal si è avvalso invece dei proventi della vendita di 680 appartamenti costruiti proprio là dove sorgeva il vecchio stadio. Un complesso ex-novo, costato 130 milioni di sterline (contro i 390 milioni necessari per lo stadio). La società ha dichiarato profitti dalla vendita degli alloggi dopo un solo anno dall’apertura del complesso residenziale, sufficienti a ripianare in toto il debito contratto con le banche. In questo caso però la fattibilità dell’operazione si basa interamente su un fattore difficilmente riscontrabile in Italia: l’Arsenal era già proprietaria del terreno su cui sorgono i nuovi alloggi.
Il fattore sold out
Un secondo requisito è rappresentato dal binomio capienza e tipologia di posti a sedere. Sembrerà banale ma la capacità di riempire lo stadio è determinante per il buon esito dell’operazione finanziaria precedente la costruzione di un nuovo impianto. In Italia, l’indice di riempimento degli stadi – load factor – è fra i più bassi in Europa e si attesta intorno al 55%. Ovvero in media una partita porta allo stadio poco più di metà delle persone che lo stesso impianto può contenere. Una miseria.
Secondo la Figc, l’ammodernamento degli impianti attuali e la costruzione di nuovi porterebbero circa sei milioni di spettatori in più all’anno e ricavi aggiuntivi per 180 milioni di euro. Con un load factor vicino al 100%, è il Bayern Monaco a guidare la classifica europea. Lo scorso anno, i profitti da match-day hanno superato i 100 milioni di euro. Un risultato che ha dell’incredibile, considerando una politica dei prezzi molto contenuta rispetto ai simili ma costosissimi stadi inglesi.
L’Italia ha anche la capienza media più alta. Eredità di Italia ’90 ma non solo (metà degli stadi sono stati costruiti prima degli anni ’50, un terzo prima del 1990). È indubbio che la televisione abbia sottratto una grossa fetta di potenziali spettatori e così gli impianti da 80 mila posti di Milano o da 72 mila di Roma sono anacronistici. Lo Juventus Stadium avrà certamente deluso non pochi tifosi bianconeri, a cui è precluso l’ingresso in uno stadio da 40 mila posti, ma registra un load factor medio del 93% che conferma la lungimiranza della scelta societaria.
Per chi si appresta a progettare uno stadio nuovo, vale dunque la pena considerare un ridimensionamento, a favore di un maggiore appeal (gradinate più vicine al campo), un aumento del prezzo dei biglietti e migliori servizi. Un tifoso può infatti accettare di pagare un biglietto qualche euro in più se la qualità dei servizi offerti è alta.
Tra questi, un fattore determinante nell’economia di un nuovo impianto la giocano i cosiddetti Sky Box. Destinati a un’utenza business, sono luoghi privilegiati, posizionati nei punti con visibilità migliore e corredati da servizi extra durante e prima dell’evento. Tornando all’Arsenal, il 15% dei posti dell’Emirates Stadium è destinato all’utenza business e da soli rappresentano il 35% dei ricavi generati dallo stadio.
La multifunzionalità
Infine, uno stadio moderno ed economicamente sostenibile deve essere in grado di generare profitti anche al di fuori della partita domenicale e di minimizzare i costi di gestione. In questo senso, la multifunzionalità dell’Amsterdam Arena ha pochi eguali al mondo. Costruito nel 1996, è considerato tra i primissimi stadi moderni. Conta mediamente 70 eventi all’anno, di cui solo un terzo direttamente legati al calcio. Concerti, meeting, congressi. Ma la vera novità è nella gestione dell’impianto. Considerata la variegata natura degli eventi, la società proprietaria dello stadio, di cui l’Ajax detiene quote pari al 7%, ha esternalizzato la gestione dei servizi necessari al funzionamento della struttura. Il risultato è una politica di forte contenimento dei costi del personale (circa 50 persone suddivise nelle aree considerate strategiche) basata sul ricorso all’outsourcing.
Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale Pagina99 il 18 febbraio 2016.
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