di Lorenzo Bodrero e Elisabetta Tramonto
Accanto all’entusiasmo, le critiche. O almeno la consapevolezza che si tratta di un punto di partenza e non certo di arrivo. È la reazione alla “legge sulle banche etiche”, approvata in via definitiva dal Senato l’11 dicembre scorso. Più che di una legge ad hoc, si tratta di un emendamento (vedi box) all’interno della Legge di stabilità. Un emendamento che riconosce la diversità delle banche etiche, ne definisce i requisiti e prevede incentivi. Ma non mancano le ombre, che non possono sfuggire a chi il settore lo conosce.
Pro e contro
La norma contiene due parti, «a cui diamo due giudizi diversi», spiega a Valori Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica. «Nella prima dà una definizione di finanza etica, dal limite sulle remunerazioni, con un rapporto richiesto tra stipendi medi e massimi di 1 a 5, alla necessità di trasparenza, fino al dover destinare il 20% del portafoglio alle organizzazioni no profit. L’aver dato una definizione alla finanza etica è rivoluzionario». La principale nota dolente è invece «nella seconda parte della norma, che riguarda gli incentivi», continua Biggeri. L’emendamento stabilisce, infatti, che per le banche etiche il 75% delle somme destinate a incrementare il capitale sarà esente da imposte.
Fin qui tutto bene. Il tetto massimo è però stabilito in un milione di euro, applicabile sulla totalità degli operatori etici. Una quota facilmente raggiungibile, anche da pochi soggetti. Ma il vero limite è contenuto nell’ultimo comma. Qui il legislatore impone l’applicabilità degli sgravi a condizione che venga rispettato il regime de minimis (che fissa il tetto dei 200mila euro in tre anni). «Si fa una legge per definire la finanza etica, ma poi di fatto non la si incentiva davvero, ponendo dei limiti che rendono tali incentivi “ininfluenti”», spiega il presidente di Banca Etica. E non è tutto.
Gli spigoli da limare interessano anche le norme di riferimen-to a cui l’emendamento si appoggia. Una banca etica dovrà, infatti, dimostrare di aver valutato «i finanziamenti erogati secondo standard di rating etico internazionalmente riconosciuti». Peccato che «queste norme internazionali non esistono. E norme inesistenti in Europa non possono fare da sub iudice in Italia», commenta Biggeri. Al momento Banca Etica è l’unico attore in Italia che risponda ai prerequisiti dettati dalla legge. «Mi auguro che questa norma stimoli la nascita di altre realtà della finanza etica – aggiunge il presidente di Banca Etica –, saranno nostre concorrenti, ma ben vengano. È tutta una questione di volontà. Se, per esempio, le Bcc volessero rispondere ai requisiti fissati dalla legge, ritengo che alcune di loro potrebbero farlo a patto di compiere lo sforzo necessario soprattutto per soddisfare le richieste di trasparenza e di limitazione degli stipendi ai dirigenti».
Il sogno del “contagio europeo”
Una prospettiva aperta da questa nuova legge è certamente quella di una sorta di contaminazione a livello comunitario. La norma italiana, infatti, è una novità assoluta e i protagonisti del mondo della finanza etica hanno un’importante carta da giocare. «In Europa, a parole, c’è la volontà di aprire un dibattito in tal senso. Mancano però gli strumenti idonei. Basti pensare che si preferisce allentare i cordoni della Borsa per salvare banche in grande difficoltà piuttosto che incentivare realtà come la nostra», osserva Biggeri. «Ma noi coinvolgeremo a Bruxelles in azioni di lobby anche altre banche, che sono certo si adegueranno al percorso iniziato dall’Italia. Ma non sarà facile: esistono posizioni diverse e anche solo trovare una definizione unica sarà arduo».
La conferma dell’interesse da parte degli altri istituti etici europei arriva dai diretti interessati: «Il risultato italiano è storico e lo prenderemo da esem- pio per implementare misure simili in altri Paesi», annuncia Marcos Eguiguren, direttore esecutivo del network mondiale delle banche etiche (Gabv). C’è poi chi apprezza l’impostazione culturale della norma italiana: «Solitamente i Paesi Ue riconoscono incentivi economici agli utenti-investitori in progetti sostenibili – commenta James Vaccaro, amministratore delegato della banca etica olandese Triodos – mentre la legge italiana incentiva anzitutto le banche verso progetti responsabili». Anche dall’Europa però arriva qualche perplessità: «Una norma simile potrà attirare l’interesse delle banche etiche di altri Paesi – commenta Cyrille Langendorff del francese Credit Cooperatif – peccato però che i vantaggi fiscali siano davvero esigui. C’è anche il rischio che si possa incorrere nel divieto di aiuti di Stato». «A livello europeo il dibattito è in uno stato di paralisi, dovuto per lo più a una burocrazia macchinosa e alla difficoltà di individuare un preciso e unico interlocutore», continua Marcos Eguiguren della Gabv. «Prevedo che impiegheremo ancora qualche anno prima di districarci nella rete europea e per instaurare un dialogo efficace con le istituzioni. Qualche europarlamentare è sensibile all’argomento, ma sono pochi.
Molti ritengono l’argomento ancora troppo poco rilevante e non prioritario». «Le istituzioni europee hanno fatto pressoché nulla finora per promuovere una finanza sostenibile», rivela a Valori Sven Giegold, europarlamentare tedesco dei Verdi e membro della Commissione Af- fari economici del Parlamento europeo. «Da anni spingiamo per distinguere tra i diversi modelli di business bancari esistenti e grazie all’Italia ci trovia- mo ora di fronte a uno spartiacque». Il testo unico bancario europeo è privo di una definizione univo- ca e manca un riconoscimento legislativo delle ban- che etiche. Finalmente però qualcosa si intravede. Lo scorso dicembre la Commissione Ue ha messo insieme un gruppo di esperti sulla finanza sosteni- bile per redigere un piano d’azione di finanza etica (vedi ). I risultati sono attesi per la fine dell’anno. «Il mondo della finanza non cambierà certamente con questa legge – conclude Ugo Biggeri –, la strada per una finanza più sostenibile è ancora molto lunga, si pensi solo alle regole contro i paradisi fiscali. Ma è un primo passo e ce lo teniamo stretto».
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di marzo 2017 del mensile Valori.
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