Terrorismo, la legge anti-radicalizzazione italiana ai raggi X
Articoli 11/05/2017 Lorenzo Bodrero 0
Evitare che in Italia si materializzi lo scenario francese. È questo l’obiettivo a medio e lungo termine della proposta di legge “Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista”, presentata dagli Stefano Dambruoso (lista Civici e Innovatori) e Andrea Manciulli (Pd), che martedì 9 maggio approda alla Camera (è notizia delle 13 che la discussione è stata rimandata alla settimana prossima, ndr).
REPRESSIONE SÌ, MA NON BASTA. Nessun allarme di fondamentalismo islamico in Italia. Non ancora. Gli attentati degli ultimi anni in Europa non accennano però a rallentare e impongono l’adozione di misure non solo di repressione ma anche di prevenzione del fondamentalismo di stampo jihadista. Arresti, espulsioni e attività di intelligence sono certamente essenziali ma da sole non bastano a contenere un fenomeno che, lo affermano persone all’interno degli stessi servizi segreti, è destinato ad aumentare di intensità. All’attività repressiva va dunque affiancata quella cosiddetta di soft power, volta ad intercettare e prevenire che il seme della violenza basata su dettami ideologici deviati attecchisca nei soggetti più vulnerabili. È così, dunque, che lo Stato dovrà dare spazio e collaborare con attori della società civile: psicologi e sociologi, criminologi e mediatori culturali, imam riconosciuti e moderati, insegnanti.
EUROPA A DUE VELOCITÀ. «L’obiettivo della proposta di legge», spiega Dambruoso a Lettera43.it, «è di affrontare un problema percepito come impellente in Italia nonché evitare il realizzarsi a medio e lungo termine della situazione di emergenza presente in Paesi come la Francia, per esempio». Da qualche anno ormai organismi internazionali come le Nazioni Unite, l’Osce e la stessa Commissione europea invitano – e in alcuni casi impongono – l’attuazione di misure preventive. «Gli esempi da seguire, nonostante il successo di tali pratiche sia di difficle valutazione, si trovano in Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Norvegia», afferma Luca Guglielminetti, referente per l’Italia della rete Ran (Radicalisation Awareness Network) della Commissione. Paesi in cui la presenza di individui o comunità islamiche radicalizzate o potenzialmente radicalizzabili è ben maggiore che in Italia ma nei quali pratiche di prevenzione hanno ridotto il fenomeno e limitato i danni.
La legge demanderebbe ai singoli centri regionali la realizzazione di azioni preventive sul territorio sotto la regia di un unico centro nazionale
La nuova legge demanderebbe ai singoli centri regionali la realizzazione di azioni preventive sul territorio (nelle scuole, università, carceri e quartieri attraverso campagne di sensibilizazione on e offline, incontri di gruppo e individuali) sotto la regia di un unico centro nazionale. Fondamentale sarà la formazione del personale coinvolto: dalle forze di polizia a quella penitenziaria, dal personale dei servizi socio-sanitari ai docenti. Saranno inoltre coinvolte le stesse comunità islamiche nei percorsi di contro-narrazione ideologica con le quali, lo scorso febbraio, il ministero dell’Interno ha sottoscritto il “Patto nazionale per un islam italiano”.
LA STRATEGIA ITALIANA. La proposta di legge rientra in una più ampia strategia di antiterrorismo messa in atto dal governo italiano a seguito della strage a Charlie Hebdo di gennaio 2015 (12 morti, 11 feriti). La prima mossa fu l’approvazione nell’aprile dello stesso anno del decreto legge sull’antiterrorismo. Ha seguìto, lo scorso gennaio, la presentazione da parte del ministro dell’Interno Marco Minniti dei risultati della Commissione di studio sul fenomeno della radicalizzazione e dell’estremismo jihadista. Il rapporto, secretato, fornisce una mappatura del fenomeno in Italia e stabilisce delle linee guida per la realizzazione di un piano strategico nazionale basato su iniziative preventive, culturali ed educative. Per ultima, la discussione alla Camera della proposta di legge Dambruoso-Manciulli. L’attenzione, insomma, è alta. Le istituzioni si muovono. Ma la domanda è, siamo in ritardo?
SIAMO IN RITARDO? «Una politica di non ghettizzazione musulmana (al contrario di quella attuata in Francia con le banlieue, ndr), il mancato coinvolgimento diretto in scenari bellici internazionali, una pressoché irrilevante questione coloniale ma soprattutto il fatto di avere comunità di prima o al massimo seconda generazione, sono tutti fattori che ci proiettano di 10-15 anni indietro rispetto ad altri Paesi del centro e nord Europa», spiega Guglielminetti. Per una volta, il ritardo è un vantaggio, dunque. L’assenza di uno stato di emergenza ci consente di mettere in piedi una strategia a 360 gradi. Ma non tutto è scevro da critiche.
Il centro nazionale e quelli regionali dovranno impegnarsi anche per contrastare ogni discriminazione religiosa e ogni forma di ‘islamofobia’
La più ricorrente, e che riguarda la normativa in discussione alla Camera, è che la legge si limita ad affrontare la sola radicalizzazione jihadista. «Non ha senso, l’azione preventiva dovrebbe concernere tutte le radicalizzazioni, religiose ma anche politiche, che possono sfociare in violenza», precisa Guglielminetti. «Pensiamo, per esempio, al movimento NoTav dove una mancanza di politiche di soft power ha portato ad accuse di terrorismo da parte dei pm torinesi, per fortuna poi cadute in fase processuale. Oppure alle dottrine di estrema destra». Il riferimento è alla Germania dove da anni lo Stato affronta le nuove forme di ideologia nazista anche con programmi educativi. La critica è respinta con fermezza da Dambruoso, principale firmatario della proposta di legge: «Sono osservazioni non determinanti, l’obiettivo è quello di affrontare un problema impellente».
1.400 SEGNALAZIONI IN UN ANNO. Diverso è il parere di Andrea Giorgis, deputato Pd e membro della commissione per gli Affari costituzionali: «Avrei preferito sopprimere la specificazione ‘di matrice jihadista’ ampliando così l’oggetto della legge, in modo da meglio soddisfare i principi di generalità e astrattezza. Tuttavia devo riconoscere, con soddisfazione, che gli emendamenti approvati in commissione hanno consentito di esplicitare che l’estremismo che si vuole prevenire è quello ‘violento’ e che il centro nazionale e quelli regionali dovranno altresì impegnarsi ad adottare misure e programmi in grado di contrastare ogni discriminazione religiosa e ogni forma di ‘islamofobia’». Secondo una fonte interna al ministero dell’Interno, in tutto il 2015 i Ros dei Carabinieri hanno ricevuto 1.400 segnalazioni di casi di potenziale radicalizzazione.
Questo articolo è stato pubblicato su Lettera43 il 9 maggio 2017.
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