Cresce dal 2012 il numero di arresti in tutta Europa per reati legati al terrorismo di matrice jihadista. L’ultimo caso proprio in Italia dove Lara Bombonati, 26 anni di Garbagna, piccolo borgo sulle colline di Tortona è stata arrestata come «indiziata di delitto» la notte di venerdì 23 giugno dalla Digos di Alessandria con l’accusa di «associazione di con finalità di terrorismo internazionale»: la ragazza, sospettata di avere legami col gruppo Hayat Tahrir al-Sham («Organizzazione per la liberazione del Levante») sarebbe stata pronta a partire per la Sira per unirsi al jihad dell’Isis.
718 ARRESTI IN UE. Secondo un recente rapporto dell’Europol, lo scorso anno 718 persone sono state arrestate nell’Ue (Gran Bretagna esclusa). Cinque anni fa erano state 159. L’aumento è stato dunque del 350%. Lo studio tiene in considerazione i dati inviati da ciascuna nazione e include le persone arrestate in procinto di partire verso zone di conflitto o da queste rientrate. Ma anche coloro che hanno contribuito al reclutamento e alla diffusione di materiale propagandistico o hanno preso parte – anche indirettamente – alla preparazione di attacchi terroristici in Europa e non solo. I numeri non dicono tutto, vero, ma aiutano a comprendere. Ed evidenziano, per esempio, una tendenza al ribilanciamento dei sessi: un quarto delle persone finite in manette infatti sono donne.
IN FRANCIA RECORD DI ARRESTI. Lo scenario più preoccupante è quello francese dove sono stati arrestati il 60% degli jihadisti dell’intera Ue (429) e il numero assoluto cresce anno dopo anno. In Italia, invece, il fenomeno è ancora contenuto, sebbene attentamente monitorato. I dati raccolti dalla polizia europea dicono che nel nostro Paese il numero di persone arrestate è altalenante e non in crescita. Lo scorso anno gli arresti sono stati 28.
In questi anni il sedicente Stato islamico ha anche cambiato strategia e modus operandi, a partire dall’ingaggio dei miliziani. Sono almeno due i fattori scatenanti: l’inasprirsi dell’offensiva militare contro il Califfato e l’introduzione da parte dei governi europei di misure per impedire la partenza di potenziali reclute verso i teatri di guerra. È ormai assodato, infatti, che all’arrivo di nuove leve l’Isis preferisce un attacco su suolo occidentale.
TRA FOREIGN FIGHTERS DI RITORNO E LUPI SOLITARI. Era il 12 maggio 2016 quando l’allora portavoce dell’Isis Abu Muhammad al-Adnani (ucciso nell’agosto dello stesso anno) invitava al martirio nei loro luoghi di residenza i volontari a cui era impedito di partire. Anche il più piccolo attacco contro l’Occidente, diceva, avrebbe «terrorizzato il nemico». Secondo Lorenzo Marinone, analista del Centro studi internazionali, esistono due tendenze che procedono in parallelo. «La prima», spiega a L43, «è quella dei cosiddetti returnees, cioè abitanti e/o cittadini di Paesi europei che sono andati a combattere in Siria e Iraq e hanno poi fatto ritorno. Grazie all’expertise maturata sul campo, per esempio nella preparazione e nell’assemblaggio di ordigni esplosivi, sono in grado di fornire agli esecutori materiali degli attentati i mezzi per portare a termine azioni più complesse e articolate». L’ultimo esempio in ordine di tempo è l’attentato alla Manchester Arena. «La seconda tendenza», prosegue l’analista, «è quella rappresentata da attentati realizzati non da cellule ma spesso da singoli individui, senza legami diretti con l’Isis, il cui innesco è l’esposizione dell’attentatore alla propaganda online o un meccanismo di emulazione». In questi casi vengono utilizzati mezzi di facile reperibilità come coltelli o furgoni per portare a termine l’azione terroristica. Ovviamente, fa notare Marinoni, «questa seconda modalità è meno complessa e dunque più semplice da mettere in atto». Anche per questo l’ultimo modus operandi è quello più frequente e con buona probabilità lo sarà anche in futuro.
Il cambio di direzione nella strategia di Daesh riguarda anche il genere. Si sta assistendo infatti a un’apertura sempre maggiore alle donne, destinatarie della propaganda jihadista come gli uomini. La cronaca lo dimostra: lo scorso settembre, per esempio, a una cellula composta da tre donne è stata attribuita l’organizzazione di un attacco, poi sventato, da compiersi con bombole di gas nascoste in un auto parcheggiata a Notre Dame, Parigi. Sempre a settembre, tre jihadiste sono state uccise a Mombasa, in Kenya, dopo aver sferrato un attacco contro la stazione di polizia. Mentre a ottobre un altro gruppo formato da 10 donne è stato arrestato in Marocco.
IL PRECEDENTE DI AL QAEDA. Come altri gruppi jihadisti, anche l’Isis dispensava il genere femminile dall’obbligo di partecipare ad attacchi armati. Nessun divieto, però. «Anche al-Qaeda nei primi anni 2000 ha impiegato in modo cospicuo le donne sia nel ruolo di attentatrici, sia per curare la logistica e i contatti delle cellule», precisa Marinone. «La vera novità», sottolinea, «sta nel fatto che ora il Califfato recluta donne che vivono e operano in Europa». Una mossa che sorprende fino a un certo punto. In un’ottica di creazione di consenso, attraverso il web l’Isis fa leva sul disagio e sulle difficoltà sociali ed economiche «tipicamente riscontrabili in molte periferie delle grandi città europee» osserva l’analista del Cesi. «In questo senso, le donne ricoprono un ruolo importante all’interno del contesto familiare». Come emerge dal rapporto Europol, le cellule al femminile sembrano però operare senza la collaborazione degli uomini. Una parziale segregazione, dunque, persiste, tanto che in un articolo del portale pro-Isis al-Naba vengono indicate con il termine «sorelle» e non con quello di «soldati», riservato agli uomini.
Altro campo di battaglia di Daesh è la propaganda. Non solo attraverso internet e social network, ma anche per mezzo di sofisticati giornali come Dabiq e Rumiyah e puntuali agenzie di stampa come Amaq. Rumiyah, per esempio, è nata nel settembre 2016 e viene pubblicata almeno in sei lingue. Al suo interno, con articoli dal linguaggio celebrativo, trovano spazio aggiornamenti sulle operazioni militari, necrologi dei martiri caduti per «assaporare il gusto dell’auto-sacrificio», interviste, infinite citazioni di Maometto pro-Jihad, resoconti e foto di esecuzioni, istruzioni sull’uso di armi e la preparazioni di attentati e addirittura una sezione dedicata alle donne le quali «nonostante compiano spesso assurdità, dimostrino ingratitudine verso i mariti, si lascino andare a calunnie e ad altri gravi peccati» vedranno le porte dell’aldilà aprirsi magicamente. Purché donino beni o denaro per il bene della Guerra Santa.
LA TARGETTIZZAZIONE DEL DESTINATARIO. Gli aggiornamenti sulle attività del sedicente Stato islamico corrono anche su smartphone con il servizio di newsletter di al Naba su Telegram in cui settimanalmente vengono pubblicati video e brevi news dal fronte. Gli autori rimodulano la terminologia su toni più moderati e laici, nel tentativo di conquistare un audience più ampio. Così i «soldati del Califfato» diventano «i combattenti dello Stato Islamico» e le vittime da «crociati» passano a «cittadini stranieri». In questi anni i media center dell’Isis, conclude Marinone, «hanno prodotto messaggi dai contenuti diversificati in base alla platea cui erano diretti: quelli rivolti all’Occidente, tesi a sottolineare la potenza e l’alto livello di minaccia rappresentato dal Califfato; e quelli rivolti alle popolazioni locali, volti spesso a rimarcare l’efficienza amministrativa e i servizi forniti».
Questo articolo è stato pubblicato su Lettera43 il 24 giugno 2017.
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