La Cina va al Mondiale
Articoli 12/06/2018 Lorenzo Bodrero 0
Non ha mai segnato un solo gol nella fase finale della Coppa del mondo e vi ha partecipato una sola volta, nel 2002. Eppure la Cina giocherà un ruolo di primissimo piano ai Mondiali in Russia. È infatti grazie ai grandi marchi cinesi che la Fifa può tirare un sospiro di sollievo alla voce sponsor – la seconda per volume di affari dopo la vendita di diritti tv – e rimpinguare un tesoretto che fino a pochi mesi fa era preoccupantemente magro.
Pechino ha saputo approfittare di un’occasione irripetibile. O meglio, della combinazione di due crisi. Quella della Fifa, falcidiata dalle indagini a guida americana sugli scandali di corruzione (Fifagate) che hanno portato all’arresto di oltre trenta funzionari, alle dimissioni di Sepp Blatter e a una reputazione da rifondare; e quella della Russia, paese ospitante, da mesi al centro di critiche per le guerre in Siria e Ucraina, le interferenze nelle elezioni occidentali, lo scandalo doping e i sospetti di corruzione proprio per essersi aggiudicata l’edizione 2018. Insomma, lo sport più bello del mondo ha visto giorni migliori e se prima le grandi aziende facevano a gara per aggiudicarsi una finestra con vista Mondiali, oggi in molte preferiscono non venire associate al modus operandi dell’organizzatore e del Paese ospitante. È il marketing, bellezza.
Così, fino a poche settimane fa la Fifa si trovava con la maggior parte degli slot dedicati agli sponsor ancora da riempire. Grave? Peggio. Per loro stessa ammissione, a titolo di esempio, tutti quelli disponibili per i Mondiali in Brasile furono assegnati sei mesi prima della partita inaugurale e generarono introiti per 1,5 miliardi di euro. Le spese legali dovute al Fifagate e le difficoltà nel trovare sponsor per questa edizione hanno invece portato 350 milioni di euro di perdite nel 2016. Gli slot sono divisi in tre categorie: partner ufficiali Fifa, sponsor della Coppa del mondo e sponsor regionali. Quest’ultimo presenta la situazione più grave, con ancora una decina di posti disponibili. Tra i partner ufficiali ha fatto un passo indietro la Sony, mentre tra gli sponsor si sono ritirati la Castrol, Emirates e Johnson & Johnson. E tutti a causa del Fifagate.
Sono rimasti gli irriducibili. Adidas, Coca-Cola, Visa e McDonald’s hanno confermato la loro presenza al fianco della Fifa. Insieme a loro, gli oltre tre miliardi di spettatori che guarderanno il più importante evento sportivo al mondo non potranno fare a meno di notare marchi a loro sconosciuti: Hisense (elettronica), Mengniu (caseificio), Vivo (cellulari), Wanda (catena di cinema) e Yadea (scooter elettrici ) si sono ritagliati un posto al sole a suon di centinaia di milioni di euro. Brand sconosciuti al pubblico occidentale ma solidi leader nei rispettivi settori in Asia.
La Cina non scenderà in campo ma la percepiremo ovunque: sui cartelloni pubblicitari a bordo campo, negli spot prima durante e dopo le partite, in sovrimpressione tra un’azione e l’altra. Pechino ha compreso l’importanza di condividere gli stessi spazi con giganti occidentali e la legittimazione che questo comporta agli occhi di un pubblico globale. In più, c’è il calcio. «La cosa più importante tra le cose meno importanti», per scomodare Arrigo Sacchi. E quale occasione migliore dell’evento più seguito al mondo? Il blitz perfetto. Difficile dire chi tra la Fifa e Pechino ci guadagni di più. Nell’eseguirlo, Pechino ha colto il momento più opportuno ossia quando la Fifa era alla disperata ricerca di liquidi, riuscendo così a strappare accordi estremamente vantaggiosi dal punto di vista costi-benefici. Le ambizioni calcistiche della Repubblica Popolare non sono un mistero.
Non è però una mera questione economica. Anzi. Nel 2015, il presidente Xi Jinping aveva dichiarato di voler trasformare la Cina in una «superpotenza del calcio mondiale» in pochi anni e nel farlo era andato forse un po’ troppo oltre le più rosee previsioni: creare un’industria da 800 miliardi di euro. Cifre da capogiro. Quelle parole hanno spinto facoltosi imprenditori cinesi a investire ben 2,5 miliardi di euro (secondo il New York Times) nel calcio internazionale negli ultimi anni. Oggi una trentina di club – dal Manchester City al Fc Sochaux, dal Milan allo Slavia Praga, dall’Aston Villa al Birmingham – sono detenuti interamente o in parte da miliardari cinesi, o presunti tali. L’obiettivo è di avvicinare gli oltre 1,4 miliardi di cinesi a uno sport a loro molto lontano culturalmente.
Così la “corsa al calcio” è proseguita tra le mura di casa. Il mediocre campionato cinese da allora ha arruolato fuoriclasse del calibro di Tévez, Martínez, Lavezzi, Hulk, Witsel e molti altri a suon di contratti stellari. Nonostante gli immensi sforzi economici, al momento il livello del calcio espresso è ancora tra i più bassi al mondo (la Cina è al 73esimo posto del ranking Fifa ). Il pallone, come ogni industria, ha le sue regole. Una di queste è che non basta versare fiumi di denaro sull’estremità superiore (le serie maggiori) per aspettarsi l’emergere di nuove generazioni di talenti – un principio ancora scarsamente diffuso nella nostra Serie A. L’ha capito anche il Partito Comunista cinese e i cordoni della borsa sono tornati ad aprirsi. In un documento ufficiale sono elencati 50 punti che tracciano la rotta perché Pechino diventi la nuova stella del calcio mondiale. Tra questi, altri numeri da far girare la testa: 20.000 centri di allenamento, 60.000 nuovi campi da calcio e 50 milioni di calciatori entro il 2020.
C’è chi mormora che l’obiettivo del Partito comunista sia ospitare la Coppa del mondo 2030 e, perché no, vincerla un giorno. Sembra un futuro remoto ma siamo a solo quattro tornei di distanza. Con svariate centinaia di milioni di euro investiti nell’edizione russa e altrettanti – se non di più – nelle successive tre, Pechino si è assicurata l’attenzione dei membri del Congresso dell’organizzazione guidata da Gianni Infantino e la possibilità di indirizzare i loro voti dall’interno. Eccola la mossa politica. Il cavallo di Troia cinese è dunque alle porte di Zurigo, sede della Fifa. Xi Jinping e i suoi alleati sanno bene quanto il calcio legittimi agli occhi del mondo e induca il pubblico a sorvolare su politiche discutibili. In fondo, quanti Paesi hanno boicottato i Mondiali in Russia nonostante le violazioni dei diritti umani, le interferenze alle elezioni, il doping di stato, i conflitti in Siria e Ucraina.
Questo articolo è stato pubblicato su Rivista11 l’8 giugno 2018.
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