Il più grande gruppo bancario danese, Danske Bank, è al centro di una bufera internazionale perché avrebbe riciclato 8 miliardi di euro tra il 2007 e il 2015. L’accusa è mossa dal quotidiano Berlingske, autore dello scoop, secondo il quale la filiale estone del colosso bancario danese avrebbe effettuato transazioni provenienti da Russia, Azerbaigian e Moldavia «che indicano chiaramente la presenza di riciclaggio». L’origine del denaro sarebbe da ricercarsi tra oligarchi e politici russi, funzionari dell’Fsb (i servizi russi) e famigliari del presidente della Russia, Vladimir Putin.
Tra i correntisti il cugino di Putin
Era il 2013 quando un dirigente della Danske Bank inviò un reportdettagliato al direttivo del gruppo in cui segnalava «sospetti movimenti bancari» a opera di una «società altrettanto sospetta» dietro cui si celavano «famigliari di Putin e membri dell’Fsb». Quella relazione ha visto la luce solo nel 2017 quando il quotidiano Berlingske ne è entrato in possesso. In quel frangente si è scoperto che il colosso bancario danese aveva atteso quattro anni prima di avviare un’indagine interna. L’inchiesta del giornale riporta a galla recenti scandali internazionali in cui l’istituto di credito sembra avere un ruolo determinante e che coinvolgono l’Azerbaigian, la Russia e anche l’Italia.
Il report si concentra sulle attività della società britannica Lantana Trade LLP. Nonostante fosse registrata come inattiva e il bilancio aziendale mostrasse fatturati estremamente bassi, il flusso di denaro giornaliero risultava particolarmente corposo con bonifici in entrata e in uscita di una ventina di società con conti registrati nella filiale estone della Danske Bank. La relazione ammoniva inoltre sulla «scarsità di informazioni riguardo i reali beneficiari dei bonifici». Tra i correntisti, secondo il report, figurava Igor Putin, politico e cugino di Vladimir e già al centro di un complesso sistema di riciclaggio di denaro rivelato nel 2014 dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project.
Alcune delle 20 società individuate sarebbero già state al centro di un altro scandalo di riciclaggio che lo scorso anno ha portato il colosso tedesco Deutsche Bank a pagare una multa di 630 milioni di dollari per aver trasferito illecitamente circa 10 miliardi di dollari provenienti da entità russe verso conti registrati in Estonia, Lettonia e Cipro. Anche in quel frangente, secondo il New Yorker, tra i beneficiari vi erano Igor Putin e funzionari dei servizi segreti russi.
I precedenti della Danske Bank
La banca danese non è nuova a episodi poco trasparenti. L’ex parlamentare Udc nonché rappresentante italiano al Consiglio d’Europa, Luca Volontè, è stato assolto lo scorso febbraio dall’accusa di riciclaggio. I magistrati milanesi lo accusavano di aver intascato tangenti per oltre 2 milioni di euro dal governo dell’Azerbaigian. In cambio avrebbe dovuto votare contro la condanna del Consiglio nei confronti del regime di Baku accusato di brogli elettorali, abusi contro prigionieri politici e incarcerazione di giornalisti scomodi. Secondo i pm, i bonifici in uscita dall’Azerbaigian e diretti a Volontè, 20 in totale e sempre superiori a 130 mila euro ciascuno, transitavano dall’Europa per dar loro così un più affidabile marchio europeo. Tra gli istituti a fare da snodo c’era proprio la filiale estone della Danske Bank.
Nel gennaio 2013 il Consiglio d’Europa ha votato a contro le sanzioni all’Azerbaigian, alimentando polemiche ma soprattutto sospetti. L’assoluzione di Volontè, come ha scritto l’Espresso, è stata motivata per inviolabilità dell’immunità parlamentare all’epoca dei fatti. Rimane invece ancora in piedi l’accusa di corruzione, motivo per cui la scorsa settimana il Consiglio ha espulso dall’assemblea Volontè – e altri 12 parlamentari – per «essersi intrattenuto in attività di natura corruttiva».
La rete con l’Azerbaigian
Il Paese caucasico e la filiale in Estonia della Danske Bank sembrano quindi aver intrattenuto rapporti fittissimi. «Le osservazioni più preoccupanti», spiega a L43 Elena Gerebizza, cofondatrice e ricercatrice dell’associazione Re:Common, «da un lato sono che alcuni dei beneficiari dei bonifici erano parlamentari di vari Paesi europei o ufficiali pubblici, come per esempio il direttore esecutivo bulgaro della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, una delle banche pubbliche che ha elargito prestiti per centinaia di milioni al gasdotto TAP e alle altre sezioni del Corridoio sud del gas, opera in cui l’Azerbaigian ha un interesse determinante. L’altro elemento», continua Gerebizza, «è che una parte dei soldi versati nelle società offshore, e transitati attraverso la filiale estone di Danske Bank, proviene dalla International Bank of Azerbaigian, la principale banca di sviluppo pubblica del Paese».
Secondo il Berlingske, gran parte delle società coinvolte nel caso della Danske Bank sarebbero le stesse individuate nel 2008 da Sergei Magnitsky. Dieci anni fa, l’avvocato russo aveva scoperto una grossa frode ai danni del fondo Hermitage Capital da parte del Cremlino. Il governo russo, sosteneva l’avvocato, si era valso di false documentazioni per estorcere imposte per 180 milioni di euro al fondo americano. Venne arrestato lo stesso anno e pochi giorni prima della scadenza del periodo massimo di detenzione preventiva (365 giorni) e della sua testimonianza in tribunale morì in circostanze poco chiare nel carcere Butyrka di Mosca. Da lui prende il nome il Magnitsky Act, il provvedimento firmato dall’amministrazione Obama contro imprenditori e politici russi.
Un anno fa il quotidiano Berlingske stimava in circa 3 miliardi di euro l’ammontare del denaro riciclato dalla Danske Bank. Lo scorso 6 luglio, il giornale danese ha rincarato la dose. Dall’esame di nuovi documenti bancari sono emersi ulteriori 4 miliardi di euro che mostrano evidenti segni di riciclaggio, per un totale di oltre 7 miliardi di euro. Le autorità danesi indagano e se i sospetti fossero fondati si tratterebbe di uno dei più grandi casi di riciclaggio da parte di grossi istituti bancari, insieme a quelli che hanno coinvolto, tra gli altri, BNP Paribas (2014), HSBC (2012) e Standard Chartered (metà anni 2000).
Questo articolo è stato pubblicato su Lettera43 il 14 luglio 2018.
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