Queen Street Queen Street
Di certo e’ che noto’ eccome due sagome all’ingresso quando irruppero nell’alloggio. Il ragazzo disse qualcosa ma con suo grande stupore non riusci’ a... Queen Street

“Ne sei sicuro?”

“L’indirizzo e’ questo”

“Mm. Che ore sono?

“Otto meno dieci”

“Siamo in anticipo. Aspettiamo qualche minuto”

L’edificio non era esattamente dei piu’ accoglienti. Al sesto piano di un casolare probabilmente costruito negli anni ’50 il silenzio era totale. Per strada, in Queen Street, pochi individui animavano una grigia e quiete domenica mattina d’inverno. Nonostante il giorno di festa, il quartiere cinese comunque era quello fra i piu’ vivaci a quell’ora del mattino. Minuti individui allestivano con eterna lentezza e maniacale precisione qualche bancone all’esterno dei rispettivi negozi. Chi disponeva frutta e verdura, chi assemblava manichini sul marciapiede di fronte o chi disegnava caratteri incomprensibili su piccole lavagne pieghevoli. Una coppia di giovani ne urtarono una, sghignazzando e accellerando verso casa, ubriachi e stanchi per una nottata trascorsa per locali. Dall’altro lato della strada, alla finestra del sesto piano di uno dei piu’ antichi casolari del quartiere erano visibili le sagome di due uomini, impegnati – in apparenza – in un fitto dialogo.

“Cazzate Vince”

“Ascolta Rick. Perche’ mai dovrei inventarmi una cosa del genere? Non sei mica mio padre”

No, grazie al cielo! Semplicemente non capisco come tu puoi andare a letto con una donna e non allungare nemmeno un dito verso un corpo che il buon Dio ha messo sulla Terra perche’ noi uomini ne trovassimo…conforto. Era un cesso?”

“Rick…”

Ok, ok. E’ solo che mai mi convincerai della possibilita’ di avere un semplice rapporto di amicizia con una donna. Figuriamoci con una attraente”

“Non mi stupisce che tu non ne sia capace. Rapporti interpersonali basati sulla fiducia e rispetto non sono certo il tuo piatto forte”

Adesso e’ a me che mi sembra di parlare con mio padre”

Inoltre io e Vicky siamo attratti uno dall’altro da qualcosa che va ben aldila’ della semplice attrazione fisica”

“Di certo non e’ attratta dal tuo portafogli, questo e’ sicuro..”

Grazie per ricordarmi di quanto il mare in cui navigo non sia di soldi ma bensi’ di … Lo sai”

Eccome. Devo ricordarti checci stiamo in due? Con un lavoro del genere daltronde saremmo due idioti a sperare che le cose vanno diversamente”

“E’ proprio per questo che siamo qui , Rick”

Nell’appartamento 610 di Queen Street uno stanco sole di una domenica mattina d’inverno filtrava tra le serrande abbassate. L’odore presente era quello simile a tante altre stanze in quel quartiere. Un misto di marijuana e Haschish, di mozziconi spenti e gettati a terra, di liquido seminale dimenticato in chissa’ quali angoli. Il pavimento era quello che solo i piu’ irriducibili tra i consumatori di droga – leggere o pesanti che siano – possono offrire. Cartacce di fast food ovunque, grossi bicchieri vuoti di plastica, briciole di ogni tipo, Marijuna qua e la, una chiazza di a prima vista Coca Cola sotto un tavolino basso al centro della stanza, indumenti di ogni genere, qualche sigaretta rotta a meta’, 6 pedine del Monopoli la cui scatola aperta e semi vuota giaceva su un divano. A camminarci sopra, il pavimento avrebbe causato lo stesso effetto sonoro di chi cammina sopra un giardino di ghiaia: anche il piu’ ibernato tra gli orsi in letargo si sarebbe svegliato. Una docile spirale di fumo ancora si innalzava da un posacenere. Il tavolo al centro sembrava ospitare un campo di battaglia in miniatura. Tabacco, cartine, decine mozziconi di spinelli, una fialetta simile a quello di un normale collirio ma dall’imboccatura piu’ larga, un piccolo specchio portatile sul quale giaceva una sostanza bianca, un paio di banconote da un dollaro arrotolate, due posaceneri, pezzi di carta stagnola, tre bicchieri di vetro vuoti, un cucchiaino dalla testa annerita, un accendino Zippo e una lampada da tavolo dalla forma di un Buddha. Un ragazzo – o perlomeno quelle erano le sue sembianze – si trovava all’altro lato della stanza rispetto all’ingresso, dove un piccolo bar divideva il salotto dal cucinino. Il ragazzo era immobile di fronte al frigorifero aperto. La piccola luce interna illuminava appena il corpo esausto e interrogativo del ragazzo. Lo sguardo fisso all’interno del frigorifero.

“Fuck”, si disse, “Non vedo un cazzo…”

Di certo e’ che noto’ eccome due sagome all’ingresso quando irruppero nell’alloggio. Il ragazzo disse qualcosa ma con suo grande stupore non riusci’ a distinguere le parole che uscivano dalla sua bocca. Noto’ che in quel momento le due sagome si guardarono uno con l’altro. Provo’ a parlare di nuovo ma quello che senti’ furono le parole di chi urla sott’acqua. Si avvicino’ verso le due sagome. Le sue braccia allungate, come chi fa quando viene bendato.

“Ma dove cazzo sono quei due bastardi?” riusci’ a pensare, ricordando di non essere l’unico a vivere in quella topaia.

Poi una delle due sagome si mosse verso il divano e rivolse la parola ad una terza sagoma che pareva essere sdraiata sul divano stesso. La sagoma che parlava sembrava dire frasi brevi, rivolgendo lo sguardo alternativamente al ragazzo e alla sagoma sul divano. Al ragazzo sembro’ di notare un oggeto piuttosto voluminoso nella mano dell’uomo. Purtroppo per lui, i due giorni trascorsi a farsi di Marijuana, Haschish, eroina e cocaina non lo aiutarono granche’: sarebbe potuta essere una pistola come un innoquo orsacchiotto di pelusce. Qualunque cosa fosse comunque, il ragazzo in una frazione di temporanea lucidita’ comprese che le due sagome non erano certo li per il servizio in camera. La sagoma stesa sul divano non rispondeva, apparentemente ancora immersa in chissa’ quale allucinante sogno. La seconda sagoma invece era china su una poltrona aldila’ del tavolo. La sua mano faceva un movimento verticale come di chi vuole tagliare l’aria. Invece dell’aria, all’altezza della mano vi era il viso di un terzo ragazzo, apparentemente sveglio. Era tutt’altro che sveglio invece. Gli occhi semi chiusi e una statuaria immobilita’ corporea suggerivano uno stato di trance o peggio di morte. Tuttavia respirava.

Il ragazzo senti’ una voce provenire dalla seconda sagoma, rivolta alla prima. La prima sagoma si volto’ ed entrambe fissarono il ragazzo. Il ragazzo non poteva distinguere nessun suono se non quelli presenti nella sua testa. Sembrava che qualcuno avesse lasciato aperte due porte opposte una all’altra nel suo cervello ed ora una corrente violentissima fischiava fra le sue orecchie. Se possibile, ancora peggiore era lo stato della sua vista. Le due sagome, per quanto i suoi sensi potevano percepire, sarebbero benissimo potuto essere due ombre staccatesi da due muri. Nessun lineamento, nessun segno di indumenti, solo la forma di due uomini. Le loro sagome erano nere come la pece. Il ragazzo intravide – o almeno cosi’ egli credette – un minuscolo scintillio proveniente dalla tasca della camicia di uno dei due. Il ragazzo senti’ d’un tratto come il silenzio nella stanza si era fatto assordante. Gli parse di percepire il battito del proprio cuore nelle orecchie. Poi uno dei due uomini spinse qualcosa in fondo al taschino della propria camicia, cammino’ verso il ragazzo, lo passo’ e gli spari’ alle spalle, probabilmente nel cucinino. Il cuore del ragazzo salto’ un battito ed egli si lascio’ cadere seduto su una seconda poltrona, lo sguardo fisso verso l’altra sagoma, immobile di fronte a lui.

“E’ la mia ora”, si disse, rassegnato.

Dopo un arco di tempo la lunghezza del quale il ragazzo non fu in grado di stabilire, le due sagome erano ora nell’ingresso, confabulavano animatamente uno con l’altro. Uno dei due porto’ un oggetto all’orecchio, vi disse poche brevi parole. Al ragazzo sembro’ di percepire l’estensione di un indirizzo nelle parole della sagoma. Un’istante o un’eternita’ dopo le due sagome erano sparite. Per quanto ne sapeva il ragazzo, poteva essere benissimo stato tutto un sogno. Se non fosse che la porta d’ingresso giaceva contorta contro il muro interno dell’alloggio.

Nel frattempo il ragazzo all’interno dell’appartamento 610 in Queen Street si alzo’ dalla poltrona. Sfrego’ fortemente le mani sul viso e si impose di riprendersi da quello stato di assenza fisica da cui sentiva il suo corpo pervaso. Niente. Semplicemente non era in grado di connettere in modo logico il benche’ minimo evento a cui, credeva, di aver assistito. Poi, probabilmente a causa dell’adrenalina in circolo causata dalla presenza di quei due uomini, il suo corpo tremo’ all’improvviso, con una entita’ tale da ricordargli quando da bambimo un terremoto aveva semi distrutto la piccola cittadina in cui era nato. Allora capi’. Si volto’ verso il cucinino, inciampo’ un infinita’ di volte prima di raggiungere la mensola che stava sopra i fornelli. Poso’ le mani sulle maniglie e stette immobile per qualche istante, terrorizzato dal possibile contenuto. Apri’ la mensola ad occhi chiusi.

E’ davvero singolare quanto con quale magnitudine il cervello umano possa rifiutarsi di percepire l’assenza di un oggetto. Ben altra cosa dal registrare un oggetto in un luogo in cui la nostra mente ne immaginava la presenza di un altro. In tal caso, la mente umana perlomeno registra un qualcosa. Un’immagine dell’oggetto appena percepito con l’ausilio della vista. Nel caso del nostro ragazzo tuttavia, tale oggetto – qualsiasi ne fosse la natura – era assente. Il ragazzo senti’ come una scintilla nel suo cervello, quasi come migliaia di neuroni avessero fatto corto circuito nel medesimo istante. In quel momento un velo piu’ nero della notte si poso’ su suoi occhi. In tale stato di cecita’ momentanea si mise le mani tra i capelli. Il suo sguardo era perso in chissa’ quale angolo remoto nella sua memoria. Mugugno’ parole incomprensibili per qualche istante mentre il suo corpo vagava nell’alloggio come una barca abbandonata in mare aperto. Riflette’. Provo’ a riflettere. Riacquistata la vista, ora i suoi occhi andavano con moto frenetico in ogni angolo dell’appartamento, quasi a fornire informazioni al suo cervello: un individuo sdraiato sul divano – un suo amico, si un suo caro amico; un altro individuo seduto immobile su una poltrona – questo, ne era certo, lo aveva conosciuto pochi giorni prima; un tavolino su cui giaceva l’inverosimile e … e quelle… quelle cosa sono? Un piatto da cucina riempito all’apparenza in fretta e furia con un pugno di Marijuana e Haschish, un poco di eroina e cocaina.

Ma che diavol…?” Il ragazzo fisso’ il piatto. Fisso’ la porta. Il piatto di nuovo. La porta. Sirene della polizia. Capi’.

L’istante seguente era per le scale, di corsa, intento a infilarsi un paio di jeans con una mano e le scarpe con l’altra. Al ragazzo pareva di volare. Cadde, si rialzo’. Raggiunse l’ingresso dell’edifico dove un senzatetto giaceva in un angolo.

Per la miseria giovane! Fai piu’ casino tu di un carroarmato arruginito!” grido’ il tale in parole rese incomprensibili dai nubi dell’alcohol.

Il ragazzo raggiunse la porta, diede uno sguardo su Queen Street, fisso’ un punto e attraverso’ la strada di corsa. Riusci’ a cogliere al volo una Street Car. Il conducente, data l’ora prematura e l’aspetto del ragazzo non ebbe la benche’ minima voglia di interrogarlo riguardo il biglietto. Il ragazzo ringrazio’ con un cenno del capo e barcollando da una maniglia all’altra raggiunse i sedili posteriori. Si sedette. Mentre il pulmino si allontanava lentamente si volto’ e vide due automobili della polizia fermarsi bruscamente di fronte all’edifico che pochi secondi prima egli aveva abbandonato.

Due minuti e diciassette secondi prima due uomini si erano allontanati a piedi dal casolare in Queen Street. Al primo angolo avevano voltato in una strada secondaria ed erano spariti lentamente, come due ombre al crepuscolo. Il Quartiere Cinese era ora poco piu’ animato di qualche istante prima. Tale innocua armonia era stata improvvisamente rotta da due intensi fischi di sirene della polizia. Allo stridere violento di gomme su strada un pacato e ignaro uomo di origini cinesi – che da quattro anni abitava quella strada – si era voltato e si chiese cosa mai ci facessero due volanti della polizia di fronte all’edificio piu’ veccho del quartiere.

Voi miserabili vermi rompicoglioni non avete niente da fare la domenica matt…!” grido’ il senza tetto ad un tale baccano. Quando alzo’ lo sguardo vise i distintivi della polizia brillare sul petto di quattro uomini il cui sguardo’ freddo’ in un attimo le parole del vecchio. Il senzatetto si calmo’ e riassesto’ il suo cuscino fatto di stracci.
”Prego…” disse in tono amichevole, “To serve and protect, gentlemen!”

Intanto due uomini, all’interno di una macchina dall’aspetto qualunque erano immersi in una conversazione pacata.

“Vince non posso credere che li abbiamo lasciati andare cosi’!” disse Rick in tono polemico.

“Non hanno fatto del male a nessuno. E non ne faranno nemmeno a noi”

“Ah no? Sei proprio sicuro che quello zombie ambulante non sia grado di identificare il tuo bel faccino?”

“No, non credo proprio”

“Lo spero d’avvero Vince! Comunque sia la prossima volta facciamo a modo mio. Tu e le tue chiacchiere… Saresti capace di convincere il Papa a ballare nudo in San Pietro con una banana in bocca!” sbuffo’.

Non ci sara’ una prossima volta Rick. Da oggi, siamo in vacanza”. Abbasso’ il finestrino e mise la mano fuori. Un tiepido sole scaldava appena il parabrezza dell’automobile. I due uomini si voltarono uno verso l’altro e non poterono che accennare un sincero sorriso ad una tale prospettiva.

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